Un soffio, un sorso di un qualche cocktail, un bacio, una serata di svago in un casinò qualsiasi, e si diffonde il contagio. Nessuno è al sicuro, e apparentemente non c’è cura.
Una donna in carriera si gode una serata di divertimento un po’ evasivo, lontano da casa, e subito si scatena l’epidemia. La suddetta donna torna a casa dopo il viaggio,e si spupazza un po’ il suo bambino. Ma oltre a fargli le coccole, lo infetta. Un marito apprensivo avverte la moglie di fuggire dalla città che stanno per chiudere e mettere in quarantena. Ovviamente fa promettere alla donna di non dire niente a nessuno; lei, altrettanto ovviamente, lo dice alla migliore amica, che lo dice a… tutto il mondo. E sono guai per quel povero fesso del marito. Potrei anche continuare, ma cari Steven Soderbergh e sceneggiatore, lasciatevelo dire subito: siete un po’ sadici.
Contagion è un film che si muove su scala globale e racconta la diffusione di un’epidemia che decima la popolazione mondiale. Ed è un film che funziona discretamente quando inquadra la storia dal punto di vista di chi tenta di trovare una cura e di circoscrivere il contagio. Funziona meno invece quando la sceneggiatura pesca a piene mani nel già visto, rendendo tutto troppo prevedibile. Fortunatamente questo è un po’ mitigato da una regia che non cerca il colpo di scena. Non che Soderbergh faccia miracoli, sia chiaro, ma riesce almeno a evitare di cadere nel ridicolo involontario.
Il tutto è appoggiato su (tanti) attori famosi sfruttati poco, ma che comunque riescono a dimostrare (chi più, chi meno) la loro bravura. Fatta eccezione per Jude Law, che invece conferma di saper interpretare solo personaggi odiosi a pelle.